"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

lunedì 16 novembre 2015

Duffy, di Dan Kavanagh, Einaudi editore, trad. di Norman Gobetti

  Il fatto che Dan Kavanagh non esista e in realtà dietro questo nome de plume si nasconda Julian Barnes non è una questione di poco conto. Al contrario, è il principale motivo d'attrazione di questo giallo godibilissimo.  Mi spiego meglio: il libro è esile, e non parlo soltanto del numero di pagine. La storia, in mano a qualsiasi altro scrittore privo del talento di Barnes sarebbe esploso in qualcosa di pulp, o di noir, o in un voluminoso best seller cupo e ossessivo. O, molto probabilmente, lo avreste trovato in vendita in edicola accoppiato a qualche giornale di bassissima lega. Per buona sorte del lettore, questi pericoli con Barnes non si corrono.
  Dunque: un tipo alto ed esageratamente loquace, al limite della logorrea, e il compare basso e silenzioso, entrano con l'inganno in casa di Mr McKechnie, gli arrostiscono il gatto e incidono uno sfregio sulla spalla della moglie. Mr McKechnie, piccolo imprenditore di Soho - un ufficio sgangherato e due magazzini - che si occupa di import export di maschere di King Kong e, forse, di ben altro, comincia a ricevere telefonate da un certo Mr Salvatore che, molto elegantemente, lo taglieggia, seppur per importi piuttosto bassi. C'è da precisare che siamo negli anni 70: quindi, niente smartphone, niente computer nè social network e neppure pornografia online alla portata di tutti. Poi: Mr Salvatore non esiste o, per meglio dire, non esiste più, è il nome di un noto criminale di Soho morto da qualche anno; e ancora: la polizia sembra fottersene altamente delle denunce del povero Mr McKechnie che si trova obbligato a rivolgersi ad un professionista privato del settore, un private eye. Duffy, un investigatore privato buttato fuori dalla polizia quattro anni prima dopo aver lavorato proprio nel commissiriato di riferimento del caso McKechnie. Buttato fuori per una brutta storia. Sorpreso a fare sesso con un  minore. Da qui in avanti l'intreccio si avviluppa intorno al quartiere a luci rosse, a puttane (Renèe che, a parte i capelli, il vestito, la pelliccia e lo stivale, aveva dei problemi anche seri, e non ragionava male), a papponi, poliziotti corrotti, cinema a luci rossi (ecco gli anni 70, allora c'erano ancora i cinema a luci rosse), a boss che pensano a sè stessi come ad imprenditori rampanti e parlano come lord forbiti, e scagnozzi disperatamente stupidi, centri massaggi equivoci e peepshow. Spingersi oltre nello svelare la storia non è possibile senza oltrepassare il limite dello spoiler, oltrechè del buongusto. La trama è, appunto, esile, al punto dal rasentare la fragilità. In realtà questo libro, che è il primo di una serie scritta sotto lo pseudonimo di Dan Kavanagh (seguiranno:Fiddle City, Putting the Boot In, Going to the Dogs), pare essere un sottile e gradevole esercizio di stile durante il quale il lettore viene introdotto alla conoscenza del protagonista, Duffy. Integerrimo ma non al punto da non capire la corruzione che impera nelle forze di polizia, dotato di un understatement tipicamente anglosassone (d'altronde come buona parte dei personaggi di questo libro), bisessuale esplicito (intendo: se non proprio dichiarato comunque non nascosto), poliziotto incastrato, obbligato a sbarcare il lunario come esperto di sicurezza, in bilico nel suo rapporto (moolto aperto) con la sua ex, Carol, Duffy è l'anima stessa del romanzo. Orecchino, blujeans e capelli a cresta, Duffy riesce nel miracolo di non scadere nella caricatura di sè stesso, di non scivolare mai fino in fondo nella banalità della trama: la cavalca, elegantemente, grazie allo stile sopraffino ed allo humor tutto inglese di Barnes.
Non è psichedelico come il pynchoniano Vizio di forma, nè imbolsito come Lionel Asbo, di Martin Amis. E' un'opera fragile, da maneggiare con cura, da gustarsi nella sua precarietà. Da sorseggiare in attesa dei libri successivi della serie di Duffy.

 Dan Kavanagh in realtà non esiste, ma la sua biografia si: è nato nella contea di Sligo nel 1946. Dopo un'adolescenza di assenze ingiustificate a scuola, sesso libero e piccoli furti, a diciassette anni se n'è andato di casa per imbarcarsi come mozzo su una petroliera liberiana. Montato su un'altra nave a Montevideo, ha girato per tutte le Americhe svolgendo i lavori più disparati: lo stuntman nei rodei, il cameriere su pattini a rotelle in un drive-in di Tucscon, il buttafuori in un licale gay di San Francisco. Al momento è impegnato a Londra in attività lavorative che preferisve non specificare, e vive a North Islington. Il suo alter ego letterario è Julian Barnes.