"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

sabato 12 ottobre 2013

Lionel Asbo (stato dell'Inghilterra), di Martin Amis, Einaudi editore

  Se c'è una cosa che mi entusiasma assai poco è recensire un libro che non mi è piaciuto e, peggio ancora, recensire un libro che non mi è piaciuto scritto da un autore che stimo. E questo è, Lionel Asbo (stato dell'Inghilterra), di martin Amis, un libro pieno di falle, di crepe, che ti parla con una voce che non è la sua e, mentre lo leggi, ti porta a domandarti: ma chi sta imitando? Perchè il problema, apparentemente, è questo: Martin Amis, uno scrittore di razza, che amo (e forse per questo la mia delusione è così cocente), un maestro dello stile, figlio a sua volta di un grande scrittore (Kingsley Amis), in questo caso pare essersi impegnato (poco a dir la verità) in un divertissement, prendendo un genere (tutto britannico tra l'altro) e impegnandosi ad elevarlo artificialmente tramite la sua maestria e tocchi di genio che, evidentemente, ha, in questo caso, un tantino sopravvalutato. O forse era un esperimento - o un abbozzo di esperimento - che aveva nel cassetto e che qualcuno, malauguratamente, ha convinto a dare alle stampe: chissà. Comunque siamo dalle parti della comedy ambientata nel sotto-sottoproletariato urbano, in quel mondo che non è più al di qua del confine col mondo del crimine, ma appena al di là. Lionel Asbo (molto somigliante a Wayne Rooney, e se la fisiognomica ha un filo di valore, è tutto detto) è il protagonista, suo nipote Des la voce narrante. Diston, il quartiere che fa da paesaggio e da coprotagonista del romanzo, è un luogo dove a dodici anni le ragazzine mettono al mondo il primo figlio, a trentanove anni si è nonne, dove a cinquant'anni si è vecchi decrepiti (se ci si arriva) e dove i sessant'anni non li raggiunge nessuno. Un bel posticino insomma. Lionel è uno dei tanti (sette) figli della giovanissima (madre a 12 anni e nonna a 39 anni appunto) Grace, che ha dato il nome dei componenti dei Beatles ai primi cinque nati. Lionel, zio Li, ha passato i suoi ventun'anni di esistenza dentro e fuori dai riformatori, prima (segnalato alle autorità a tre anni: un record! anche se destinato a cadere nel corso del libro), e dalle carceri poi, non brilla per comprendonio (la somiglianza con Rooney ne è chiaro sintomo), ama la violenza in ogni sua forma e sfumatura, sia quella atta a farsi valere e rispettare sia quella gratuita, per sfogarsi, da infliggere ad anime innocenti. Des, rimasto orfano, viene cresciuto da zio Li, che gli vuole bene a suo modo e gli dispensa i migliori consigli di cui è capace: ad esempio: esci ogni tanto e spacca due vetrine, porta sempre con te un coltello, e poi: dai da bere la birra ai cani per renderli aggressivi, e lascia perdere le donne (a favore dei siti porno: genere favorito di Zio Li: le milf: mother I like fuck, vale a dire video con donne mature). Per il massimo sconforto di Lionel Asbo, il nipote è il suo esatto contrario, posato, tranquillo, potenziale vittima dell'intero quartiere e, ai suoi occhi, del mondo intero, sa scrivere, sa parlare e in una maniera che rasenta l'ebetismo riesce a voler bene a quel delinquente che risponde al grado parentelare di zio. Des, nonostante la testa sulle spalle e la razionalità stolida che gli fa da guida nell'assurda brutalità della vita di quartiere, a quindici anni finisce col divenire l'amante della giovane nonna. Da qui parte un intreccio che dovrebbe dar vita ad una satira dei tempi moderni degna di Swift, Dickens, Burgess o Ballard (così recitano le deliranti note fornite dalla casa editrice): niente di più falso. I temi trattati e l'ambientazione sono quanto di più paraculo e commerciale ci si possa aspettare, lo stile è un gioco d'equilibrio tra quello sofisticato e cesellato proprio di Amis e qualche discesa negli inferi dell'analfabetismo del protagonista. La struttura: lievemente complessa, venata di qualche particolare che non si comprende se sia dovuto a sviste di editing e di traduzione o ad effetti speciali (svolazzi manieristici) inseriti a bella posta dall'autore per non rendere il plot troppo evidentemente commerciale (o banale, o lineare, vedete voi). Zio Li, vince alla lotteria, diventa uno degli uomini più ricchi d'Inghilterra e si trasforma presto in carne da tabloid, subito etichettato come ricco e cafone, re del cattivo gusto, miliardario pericoloso e dal pugno facile nonché dalla parlata ben più che rozza. Il finale ve lo risparmio, ma comunque è quanto di più simile ad un lieto fine l'intreccio potesse permettersi di partorire. Ora, tornando a quanto detto all'inizio di questo post, la sensazione di un esercizio di stile è talmente evidente da essere imbarazzante, e la spocchia con cui l'esercizio viene portato a termine, come se bastasse il nome dell'autore a rendere il libro un sicuro capolavoro, lo rende oltremodo irritante. Dopodichè, il libro si fa pure leggere, per via dei temi che attirano gli istinti bassi del lettore che, tra l'altro, si può salvare la coscienza grazie alla certificazione dell'editore che garantisce sulla natura doc di satira dura e pura, anzi, addirittura delle migliori (viene riportata una citazione dal Guardian che sostiene sia, "quest'ultima fatica di Amis, "il libro che ci meritiamo": mi sfugge se il senso sia da intendersi come ironico, e quindi come moto di sfiducia verso l'umanità intera e l'attuale società in particolare, ma se così fosse, questa sarebbe la parte di satira a mio avviso più pungente dell'intero libro) 
  Ma poi, tornando alla domanda iniziale, imitare (involontariamente o meno) chi, cosa? E' presto detto: Irvine Welsh. Ma Welsh, con una maestria artigianale eccezionale, ci racconta le sue storie di tossici dal loro interno, le rende grottesche e/o assurde e/o comiche e/o tragiche con uno sguardo che è in tutto e per tutto quello dei suoi protagonisti, la lingua con cui racconta le loro avventure disperate e senza senso, è la loro lingua, il loro gergo, Amis no. Lo sguardo di Amis è quello freddo e benevolo dello scienziato che scruta un mondo di microbi da dietro la sua lente d'ingrandimento e, se c'è ironia - se c'è satira -, è quella del professore che si diverte a giocare con l'inevitabile ignoranza dei propri allievi. I protagonisti di questo libro puzzano di artefatto lontano chilometri, sembrano figurine i cui contorni sono stati mal ritagliati, e non perchè compiano gesti inaccettabbili a credersi da parte del lettore (i protagonisti di Welsh ne combinano di peggio), ma perchè certi particolari non sono quelli giusti: nel modo di esprimersi, nelle psicologie, e forse addirittura in quello che è il loro mondo di riferimento.
  Onestamente mi è incomprensibile come uno scrittore della caratura di Amis (consiglio vivamente Koba il terribile e Il treno della notte, entrambe per Einaudi) abbia potuto scivolare su un'operazione del genere (e personalmente son portato a credere che non volesse imitare nessuno, e gli sia riuscito suo malgrado, soprattutto perchè uno scrittore del suo valore, semplicemente, non ne ha bisogno). Rimane un grande autore,"ça va sans dire", ma questo Lionel Asbo lo sconsiglio vivamente (anche per via di un editing imbarazzante da parte della casa editrice dello struzzo: refusi a piene mani come non ne trovavo da tempo). 
 
Martin Amis è nato a Oxford nel 1949. Di lui Einaudi ha pubblicato: Altra gente, Money, London Fields, La freccia del tempo, L'informazione, Il treno della notte, Cattive acque, Esperienza, Cane giallo, Koba il Terribile, La casa degli incontri, La vedova incinta, Lionel Asbo e la raccolta di saggi Il secondo aereo.

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